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I promessi sposi – Capitolo 1 pag. 5

I promessi sposi capitolo 1 pag 5 di Alessandro Manzoni. Stampa gratis il libro

Promessi Sposi Alessandro Manzoni I Promessi Sposi Capitolo 1

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“Per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate schiamazzi: ne va… ne va la vita!”
“La vita!”
“La vita.”

“Lei sa bene che, ogni volta che m’ha detto qualche cosa sinceramente, in confidenza, io non ho mai…”


“Brava! come quando…”


Perpetua s’avvide d’aver toccato un tasto falso; onde, cambiando subito il tono, “signor padrone,” disse, con voce commossa e da commovere, “io le sono sempre stata affezionata; e, se ora voglio sapere, è per premura, perché vorrei poterla soccorrere, darle un buon parere, sollevarle l’animo…”


Il fatto sta che don Abbondio aveva forse tanta voglia di scaricarsi del suo doloroso segreto, quanta ne avesse Perpetua di conoscerlo; onde, dopo aver respinti sempre più debolmente i nuovi e più incalzanti assalti di lei, dopo averle fatto più d’una volta giurare che non fiaterebbe, finalmente, con molte sospensioni, con molti ohimè, le raccontò il miserabile caso. Quando si venne al nome terribile del mandante, bisognò che Perpetua proferisse un nuovo e più solenne giuramento; e don Abbondio, pronunziato quel nome, si rovesciò sulla spalliera della seggiola, con un gran sospiro, alzando le mani, in atto insieme di comando e di supplica, e dicendo: “per amor del cielo!”

“Delle sue!” esclamò Perpetua. “Oh che birbone! oh che soverchiatore! oh che uomo senza timor di Dio!”

“Volete tacere? o volete rovinarmi del tutto?”

“Oh! siam qui soli che nessun ci sente. Ma come farà, povero signor padrone?”

“Oh vedete,” disse don Abbondio, con voce stizzosa: “vedete che bei pareri mi sa dar costei! Viene a domandarmi come farò, come farò; quasi fosse lei nell’impiccio, e toccasse a me di levarnela.”


“Ma! io l’avrei bene il mio povero parere da darle; ma poi…”

“Ma poi, sentiamo.”

“Il mio parere sarebbe che, siccome tutti dicono che il nostro arcivescovo è un sant’uomo, e un uomo di polso, e che non ha paura di nessuno, e, quando può fare star a dovere un di questi prepotenti, per sostenere un curato, ci gongola; io direi, e dico che lei gli scrivesse una bella lettera, per informarlo come qualmente…”

“Volete tacere? volete tacere? Son pareri codesti da dare a un pover’uomo? Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena, Dio liberi! l’arcivescovo me la leverebbe?”

“Eh! le schioppettate non si danno via come confetti: e guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte che abbaiano! E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto; e, appunto perché lei non vuol mai dir la sua ragione, siam ridotti a segno che tutti vengono, con licenza, a…”

“Volete tacere?”

“Io taccio subito; ma è però certo che, quando il mondo s’accorge che uno, sempre, in ogni incontro, è pronto a calar le…”

“Volete tacere? È tempo ora di dir codeste baggianate?”

“Basta: ci penserà questa notte; ma intanto non cominci a farsi male da sé, a rovinarsi la salute; mangi un boccone.”

“Ci penserò io,” rispose, brontolando, don Abbondio: “sicuro; io ci penserò, io ci ho da pensare.” E s’alzò, continuando: "non voglio prender niente; niente: ho altra voglia: lo so anch’io che tocca a pensarci a me. Ma! la doveva accader per l’appunto a me.”

“Mandi almen giù quest’altro gocciolo,” disse Perpetua, mescendo. “Lei sa che questo le rimette sempre lo stomaco.”

“Eh! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro.”

Così dicendo prese il lume, e, brontolando sempre: “una piccola bagattella! a un galantuomo par mio! e domani com’andrà?” e altre simili lamentazioni, s’avviò per salire in camera. Giunto su la soglia, si voltò indietro verso Perpetua, mise il dito sulla bocca, disse, con tono lento e solenne: “per amor del cielo!” e disparve.


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